PROVINCIA DI ASCOLI PICENO
Per il Comune di Arquata del Tronto, F. A. di anni 90 racconta: “…le sementi antiche erano: il grano, la lenticchia, i mochi, i farchi per mangiare erano come piselli, la roveglia, il farro, il marzone…”
G. E. di anni 68: “…Come frutta antica c’era la mela di San Pietro che era una qualità che maturava molto presto, poi qui da noi sono sparite. C’erano le nespole, poi c’erano le mele cotogne con cui si faceva la sapa. La sapa era fatta con uva, mele cotogne ed altri tipi di mela, senza zucchero infatti era molto amara. Qui noi eravamo grandi produttori di un tipo di mela chiamata “invernarola” poi c’erano le “sfasciabiancate” che sarebbero le mele renette, le mele ruzze che ci sono ancora, la mela rosa. Il sidro non lo facevamo perchè c’era il vino che era buono…C’era solo un tipo di pera che si chiamava spadona. La marmellata si faceva con i “grugnali”(bacche di corniolo) che sono come li “strozzacaina” bacche di rosacanina…”
T. I. di anni 93: “…Si mettevano la roveglia, la “lenta” (lenticchia), i mochi per le bestie…Il farro si coltivava a Castelluccio…Le mele che avevamo qui erano le mele “ruzze”…”
A. A. di anni 91: “…Si piantavano: farchi (sono simili ai piselli e facevano i fiori bianchi), cicerchia, lenticchia, la segale,la reveglia, la canapa…Varietà di mele: mele pianelle, mele rozze, mele cotogne, mele rosa..”
F. F. anni 68: “…La reveia si piantava in località Da Monte. La reveia(seme schiacciato) si piantava a primavera e si raccoglieva a agosto, si utilizzava cone i fagioli. Si piantavano anche i mochi, i farchi (seme rotondo),la lenticchia, la cicerchia. La reveglia selvatica ancora si trova in montagna…”
D. S. A. anni 78: “…Si seminava a Santa Maria del Chiarino. Il marzuolo si seminava vicino al paese…Mele: cotogna, ruzza, pianella, meloncella, ranetta…Le mele selvatiche si chiamavano schiangi….Le prugne: la verdacchia, la chiappa de monaca, la prugna a piricoca…Pere: la pera della fiera si maturava alla fine d’aprile, la spatona e le pera a campana…Fichi: fellacciani, erano neri…”
C. S. di anni 94: “…A Santa Maria del chiarino si seminava segale, grano e orzetta. Seminavano segala e grano insieme dato che il grano non sempre veniva a causa della neve,la segala resisteva meglio. Si seminava: i farchi(si facevano in minestra) i mochi (erano per le pecore)e la roveia. Si piantava la canapa…”
F. G. di anni 77: “…Si coltivavano: i muchi per i piccioni, i farchi, la roveia in località Da Monte. Queste coltivazioni si facevano in montagna perchè avevano bisogno di poche attenzioni. Si coltivava anche il Marzuolo (grano) infatti c’è una località che si chiamava Marzulì (la località si trova sopra il forno di Arquata)… Varietà di mele:1)la granatona, 2)la ruzza, 3)la rosa, 4)la limoncella (sapeva di limone), 5) la mela cotogna…Una pianta di limoncella me la ricordo sopra Camartina orto di Santa Maria…Varietà di ciliege 1)biancole, 2)primacciole (si maturavano prima delle altre nel mese di maggio), 3)le marasche, 4)quelle selvatiche…Pere piccole di San Giovanni erano dette pere mezze si mangiavano il giorno di San Giovanni…Le varietà di susine: 1)chiappedimonaca, 2)pernicù, 3)rusciole…” M. E. di anni 99: “…I mochi si davano alle pecore o ai piccioni…Il lino pure si coltivava..La mia povera mamma lo metteva dall’altra parte della strada…Era come la canapa, solo più basso e più fino…Si lavorava allo stesso modo solo che poi col lino si facevano gli impiastri…I semi si facevano bollire insieme ai semi di senape e poi si facevano gli impiastri sul petto con una pezza per curare la bronchite, la polmonite…C’erano i fagioli dall’occhio nero che noi chiamavamo le “monachelle”…Di mele c’era la mela ruzza; poi c’era una varietà di pere invernali che chiamavano le pere di Cucchiarò perchè ce l’avevamo noi Cucchiaroni…Ancora ci stanno…C’erano le mele ranette, le pere mezze…Si trovavano le sorbe: si mettevano nella paglia e quando erano diventate marroni te le mangiavi..Però te ne potevi mangiare poche sennò di andare al bagno te lo scordavi…Si mangiavano anche i grugnali che sono fatti tipo oliva ma sono rossi..si mangiavano così tipo oliva ma sono aspri..E’ una pianta selvatica…I semi di sambuco quando erano maturi si usavano per dare colore al vino…Questo è un certo tipo di sambuco però, perchè ne esistono diverse qualità…L’uva si faceva appassire..C’era un tipo di uva, una specie di pizzutello però meno a punta e più bombata, che chiamavamo “uva vaccò” e che si metteva ad appassire dentro i forni dopo che era stato tirato fuori il pane…Si metteva sopra ai fondi dei canestri capovolti e si metteva nei forni per farla appassire..Poi ci facevano lo zibibbo che quando era secco si metteva da parte per fare i dolci, per fare il baccalà…Era come l’uva passa…”
M. U. di anni 74: “…L’orzo perlato, quando stavamo male, era la nostra medicina, si metteva a bollire e poi ci bevevamo l’acqua, era molto rinfrescante…Si faceva anche abbrustolire per farci il caffè d’orzo. Si seminava a primavera. La rovegna la mettevamo ma la mangiavamo poco. Noi mangiavamo più i fagioli, di tante qualità, li mettevamo in mezzo al granturco, si seminavano a maggio, dopo che era nato il granturco…”
C. E. di anni 81: “…il tipo di vino: l’uva pecorina…si coltivava il grano: farineto e il romanino, vicino alla vigna…si piantavano le rape e si mangiava tutto…si andava a Castelluccio di Norcia a piantare la roveglia e l’orzetta per i maiali…frutti antichi: la scopparella e la genovese, sono due tipi di pesche che si maturano a Settembre durante il periodo dell’uva, altra varietà sono le mele ruzze…”
Per il Comune di Castel di Lama, M. D. di anni 97 racconta: “…Si coltivavano grano, granturco, fieno, patate, fagioli, canapa…Con la canapa si facevano corde, tessuti: si seminava a marzo e si raccoglieva in agosto.Quando si raccoglieva si facevano i fasci e si portavano a “medicare” nei vorghi. I maceratoi, o vurghe, stavano presso Tronto: di Pietro Martire e di Tempesta….Per essere pronta ci volevano 15-20 giorni; poi si tirava fuori si lavava e si faceva asciugare…Poi si portava a casa e si rompeva con la macingola e si ripassava con la cioccola.Poi veniva il canapino che la pettinava..Le corde si facevano invece con i “sammera” ossia quella canapa che si lasciava per il seme..Per filare c’erano i “tuoppe” ossia la canapa più scarta, e i “nuocchie” che erano il fiore della canapa…Con la canapa si faceva tutto quello che serviva per la casa: tessuti, stracci, corde, sacchi…Era un lavoraccio..Vicino ad Ascoli era tutta canapa. La terra ideale per la canapa era quella “risciola” ossia quella più soffice…. L’importanza della canapa era paragonabile a quella del maiale. Con i mazzetti di “cannavucci” si bruciava il maiale…Alcuni coltivavano anche il lino che si faceva come la canapa…Diffusi erano i “mori” ossia i gelsi per i bachi da seta…Qui attorno era pieno di “mori” per i bachi. Parecchi allora lavoravano con i bachi….Qui attorno molti coltivavano il tabacco…La coltivazione del tabacco però era tenuta sotto controllo dalla finanza e ci volevano i locali apposta per seccarlo…Le foglie del tabacco venivano ammollate nel vino cotto poi seccate e arrotolate. Ma questo non si poteva fare perchè la Finanza ti contava le foglie..Si faceva solo di nascosto: chi lo coltivava non lo poteva usare…Anticamente si usava il tabacco da fiuto…”
V. L. di anni 77: “…Coltivavamo la canapa per casa che si portava a Venagrande per mettere a mollo nei vorghi. A Venagrande ce n’erano tre…Si coltivava anche farro, cicerchia, veccia, i “cierve”, avena, panico, segale che si metteva per la paglia. Con la paglia di segale si facevano le “pagliarole” ossia i setacci per il grano. Abbiamo messo il lino ma la nostra non era terra da lino…Il lino si pressava e si faceva una specie di balla che veniva venduta…”
Per il Comune di Comunanza, M. I. di anni 74 raccnta: “…Prima si piantava il tabacco, la canapa, la lenticchia, la cicerchia, i borlotti, la segale, il grano, il granturco, le patate…C’erano le mele di San Pietro che venivano mangiate il giorno di San Giovanni. Poi c’erano i fichi, c’era l’uva malvasia, lu pergolo, la galloppa, lo baccaro, il pagadebbiti, c’era la pera cannella. La marmellata si faceva con il mosto e con le mele…”
F. E. di anni 86: “…Mettevamo la canapa qui ai terreni nosrti. Dopo quando è ora si taglia e si mette immezzo all’acqua: “lu vurghe” si chiama. Io mi ricordo… Ci veniva il padre di Ginesio a pettinalla: perchè a pettinalla non tutti erano bravi. Ci volevano forza e capacità… Per me fare le coperte era facile perchè l’ordito me lo preparava mamma che era brava: non tutti erano capaci. Si faceva l’ordito… Si doveva premere e mettere i fili con la navicella, la chiamavano la “grua” e poi c’erano i “pedacci” dove si mettono i piedi. Mamma li avviava, mette su i ricci, e si dovevano mettere su con una maestria. Lei lo faceva sia per noi che per gli altri… Andava anche fuori ad avviare la tela…c’erano i fagioli bianchi, i borlotti. Il farro non si metteva, ma si mettevano i ceci. C’era chi piantava la foglia per fumare( tabacco). Magari la piantava in un piccolo orticello nei boschi, dove non passava nessuno, perchè era proibita. Poi seccavano le foglie e le fumavano. Noi facevamo i Bachi per Polimandi d’Ascoli. Se il baco era da seme aveva più valore, quello da seta valevano meno… Dipende da come li coltivi: più vivono pochi giorni e più sono sani… Qualche volta li facevamo nascere noi, ma dovevano stare sempre alla stessa temperatura: sennò ce li mandavano loro, Polimandi aveva questa zona. Da piccoli gli si doveva dare a mangiare ogni due ore, notte e giorno. Gli si tritavano le foglie fine fine. Poi si addormentavano e bisognava cambiargli il letto. Più gli si dava a mangiare regolare più venivano i bachi sani per fare il seme. Ad un certo punto smettevano di mangiare e diventavano gialli quasi trasparenti. E da lì veniva fuori il filo e noi ci mettevamo come delle scope di “ucci” che sono un pò spinosi. Loro si attaccavano lì e facevano il baco. Poi si pulivano bene queste scope e si faceva una festa grande. Bisognava raccoglierli prima che bucavano il bozzolo. Noi mandavamo il bozzolo intero e loro sapevano se erano da seme o da seta. Prima prima dicono che c’era chi partiva con la canestra e andava fino in Ascoli a consegnarli. Noi ci si viveva quasi. Poi papà cià preso un premio, un diploma per la qualità…”
S. B. di anni 76: “…Si piantava un tipo di grano quello con cui ora ci si fa la pasta, prima lo chiamavamo la “saravolla” però non c’era la macina a pietra per farne la farina, quindi veniva sbriciolato con una macinetta…”

Per il Comune di Castignano, G. G. di anni 97 racconta: “…Stavamo a mezzadria… coltivavamo il grano, il granturco, il farro… la “sulla” e l’erba medica per le bestie…Il seme della “sulla” si doveva poi portare a macinare a Ponte Maglio. Su c’era un mulino ad acqua…La tresca del grano non me la ricordo ma si faceva…Si piantava anche la canapa e si “medicava” a li “vurghi” giù alle terre delle monache… Giù si piantavano pure le foglie del tabacco… La canapa quando si ricacciava da li “vurghi” si spandeva per farla asciugare. e poi si rompeva con la macingola…Prima si metteva l’uva “melata”, era buona e ci viene buono il vino cotto, poi c’era lu “vacchera” che faceva dei grappoli grossi, la malvasia…Piantavamo lo “zuffrano” (zafferano)… forse lo usavano per dare colore alle pizze di Pasqua….”
V. L. di anni 97: “…Si seminava il foraggio, l’erba medica e la sulla. Poi sono venute fuori dieci qualità. C’era la “gentile rossa”, il “mentana”, il “vanziotto” (grano tenero)… Poi si piantava la fagiolina bianca e quella a uova di quaglia, nana e alta. Si metteva la fava, la cicerchia, il favino. Con la fava “ngreccia” ci si faceva colazione al posto del pane. Il farro “saravolla” ci si faceva tipo la polenta…Il lino e la canapa tanto. Il lino era massimo 60 centimetri la canapa un metro e trenta. Con i semi del lino ci si faceva l’olio e si vendeva per fare le vernici…Con i semi di lino ci si facevano anche gli impacchi quando avevi la polmonite…La canapa si portava verso Appignano a Montecalvo, sopra la collina c’erano tutte pozze che ci cresceva l’acqua. Ci si portavano a medicare la canapa e il lino. Però gli si doveva lasciare il 10%…C’era l’uva vacchero, il cacciò un uva grassa e l’uva longa, queste erano uve bianche. Di uve rosse c’era il sangiovese, la grana, la melana, il granascio. Prima c’erano le capanne e si facevano sull'”albero” ,l'”oppio” (è un tipo di acero)… Il giogo per le bestie si faceva con questa pianta, ma era un po “scheggioso”…”
V. V. di anni 81: “…si piantavano gli anici e il farro, ecc…le varietà di mele erano:le mele di San Pietro, le mele rosa, le mele zuzzole o ruzze. Le varietà di pere erano: le pere moscatelle. Le varietà di uva erano: l’uva melata e l’uva picca de gallo…”
T. E. di anni 100: “…Si coltivava il farro. Il farro rende molto ma fa piante alte che si piegano a terra…Si coltivava la cicerchia ma più che altro si macinava per le bestie…Si mettevano i ceci, i fagioli lunghi che facevano i semi neri e i fagioli occhio di quaglia…Si coltivavano canapa e lino. La canapa si è coltivata fino agli anni ’50….Ci si faceva tutta la biancheria…Si seminava e poi si tagliava quando la pianta era “granita”; si facevano tutti mazzetti che dovevano asciugare al sole poi venivano portati al “vorgo” che stava vicino la chiesa di S. Francesco. Era una pozza scavata vicino al torrente: veniva riempito all’occorrenza. La canapa veniva messa nel vorgo con i fasci tutti in fila con sopra tutte pietre per rimanere a fondo. Poi il vorgo veniva riempito d’acqua. La canapa doveva maturare per alcuni giorni, fino a che non si staccavano le fibre, poi veniva tirata fuori, lavata e fatta ancora asciugare al sole. Poi veniva schiacciata con la “macingola” e ripassata con la “spadella” o “cioccula” per separare la fibra dal legno. Fatto questo veniva il “canapino che passava la fibra nei pettini per raffinare la fibra e ottenere quella per filare. Si ottenevano due qualità: “lu nuocchie”, più fine e pregiato e “lu tuoppe” più grossolano. Con “lu nuocchie” si facevano le lenzuola e la biancheria; con “lu tuoppe” si facevano gli strofinacci, i sacchi, le corde. Le corde erano fatte dal funaio (lu curdare). Il nocchio si filava con la “conocchia” e il fuso; poi con il “naspo” si facevano le “fezze” (mannelle); le fezze si facevano bollire con la cenere per sbiancarle e farle diventare morbide (la cenare assorbe la resina della canapa)…Dopodichè con il “filarello” si facevano li “vucina” ossia i cannelli di canne con cui si tesseva; prima di tessere si dovevano fare i cannelli di cotone e si realizzava l’ordito. Fare il tessuto solo di canapa era troppo costoso…C’era tanto lavoro per fare tutto questo…Le foglie di tabacco dovevano essere “infilate”in un filo, appese e seccate. Poi veniva messo nei sacchi e mandato via…C’erano molti alberi di gelso le cui foglie venivano usate per i bachi da seta. Il frutto invece, ossia le more, non era molto usato.Il gelso veniva chiamato il “moro” e stavano soprattutto lungo le strade…”
M. A. di anni 83: “…Il farro si piantava..Si chiamava la “saravolla” e aveva un trattamento particolare..Si raccoglieva e siccome non era molto per non farlo mischiare col grano si batteva a parte su un terrazzo.. Una volta seccato e asciutto bene poi si metteva a bagno…Appena la pellicola esterna si era bagnata si metteva in un recipiente chiamato la “pila” che era un pezzo di tronco scavato da sopra…Poi c’era un maglio di legno e con questo si batteva il farro umido e quello si spellava…Una volta spellato si metteva di nuovo ad asciugare e con la semola invece ci si facevano i cuscini o si dava alle bestie…Si doveva prima “scamare” però…Infine si portava a macinare e si faceva il farro tritato che poi si faceva a polenta…Era buonissimo poi quando si uccideva il maiale si prendeva la testa e ci si faceva il brodo con cui si cuoceva il farro…Qui si coltivavano la canapa, il lino…….Si coltivava il gelso per i bachi da seta….Il grano che si metteva molto e che rendeva si chiamava “Avanzi 8” che era il dottor Avanzi che aveva selezionato l’ottava varietà…Prima di questo c’era una varietà che si chiamava “Rosso gentile” che veniva molto alto…Poi c’era il “Frassineto”, l’Impero, il Roma, il Funo…Si metteva una varietà di orzo che serviva per fare il caffè e che noi chiamavamo “remunn” ossia pulito perchè era senza pula..Poi c’era l’orzola il dialetto “riola”…Si metteva molta avena, la biada per le bestie che erano tante…Per le bestie si metteva anche il favino che però a volte si mangiava per colazione…I fagioli che si coltivavano erano diversi: c’erano i fagioli gialli, i fagioli bianchi e quelli “dall’acqua” che sarebbero i borlotti…Erano detti anche “uovo di quaglia”…C’erano poi quelli con un puntino nero che venivano chiamati fagioli dall’occhio…Quelli gialli erano i più comuni perchè ne facevano un po’ di più…I bianchi erano un po’ più raffinati…..Nella zona si piantava anche la cicerchia…”
A. G. di anni 84: “…Si coltivava la canapa dappertutto: si metteva ad ammollare ne “lu vurghe”….Erano tutti fascetti piccoli che si mettevano ad ammollare insieme a quelli di altri proprietari separati da pezzi di legno. Lu vurghe era sul fiume Tesino. Doveva stare in ammollo nell’acqua stagnante per 8-10 giorni poi veniva tirata fuori. I fasci venivano lavati al fiume e portati a casa dove venivano fatti asciugare. Una volta asciutta veniva “acciaccata” con la “macigna” e ripassata con la “ciaula” (cioccola). Poi veniva “lu canapì” che pettinava la fibra ottenuta, prima con un pettine più largo poi più fino: si ottenevano due qualità di canapa, “lu tuoppe” e “lu nuocchie”che era la qualità più fina e sottile. Si doveva poi fare l’ordito: con il “filarello” si preparavano 24 “cannelli” di cotone, che si comprava, con cui poi veniva preparato l’ordito. L’orditoio che era una tavola lunga appesa al muro su cui erano infilati diversi pioli di legno attrverso i quali veniva fatto passare il filo di cotone. Si facevano 14 “canne” di filo…Doveva essere fatto con precisione altrimenti si inciampava…C’era anche chi faceva l’ordito di canapa, “accia accia” che era più bello ancora, ma noi non l’abbiamo fatto mai…Poi tessevamo al telaio: si faceva il “rotolo”…La canapa si filava in inverno con la “conocchia”, al sera nella stalla….La conocchia me l’avevano regalata per il matrimonio: si usava regalarla alle donne quando si sposavano…. Lu nuocchie veniva avvolto alla conocchia e poi si iniziava a far passare le fibre in bocca, inumidite e arrotolate in un “fuso”…Dal fuso il filo veniva passato sull’aspo (o “naspo”) per fare la “fezza”….La canapa era una pianta forte che si è coltivata fino agli anni ’40 poi non si è fatta più: noi non l’abbiamo fatta più dopo che abbiamo cambiato casa e stavamo a “solagna e la canapa vuole la terra umida….La canapa tiene fresco d’estate e caldo d’inverno…Oltre alla canapa si coltivavano: farro (si macinava e ci si faceva la polenta); “melica” per fare le scope; ceci; fagioli “uovo di quaglia” (puntecchiati di rosso ) o fagioli lunghi verdi che si cucinavano come dei maccheroni e venivano conditi con il sugo. Il seme era nero….”

Per il Comune di Montegallo, M. I. di anni 95 racconta: “…Questi fagioli sono quelli che si seminavano anche prima…Questi bianchi sono la “fagiolina bianca”…Sono fagioli piccoli piccoli…Poi c’era una varietà che venivano proprio grossi e erano tutti rigati. Erano mezzi marroni, rossi..Erano grossi ma non li ho potuti più trovare…”
A. S. di anni 82: “…La canapa: li chiamavamo “cannavucci”;si tagliavano, si facevano i fasci e si mettevano a bagno a “curare”: quando era “arrivata” si batteva. Dopo che era stata a bagno i cannavucci si “sfilavano” e dopo che era stata “battuta” c’erano gli addetti con i pettini che la pettinavano e facevano la fibra da filare….La canapa si metteva a bagno nel pantanò di Marozzi che noi chiamavamo “ammoia” (il vurgo)….Si metteva anche il lino insieme alla canapa a Montegallo…. Dopo che il canapino l’aveva pettinata si filava con la “conocchia”…Il lino noi lo seminavamo per raccogliere il seme..Era una pianta bellissima con un bel fiore..Si facevano i mazzi e anche si batteva per raccogliere il seme..Il seme si usava soprattutto per le vacche, per fare il “biberone” alle vacche e ai vitelli: se una bestia stava poco bene gli si dava il seme di lino bollito…Gli si dava se stavano poco bene ma anche per farli venire belli, mishiato alla farina di granturco..Alle bestie quando stavano male si dava anche il fieno tagliato fino fino….C’erano tante vigne di uva nera e pecorino: di pecorino ancora c’è qualche vecchia vite abbandonata…Fra le varietà antiche di mele c’erano le mele rosa, le mele di S. Pietro che maturavano per il giorno di S. Pietro il 28 giugno, le mele rozze…Altri frutti erano le “ciorbe”: le piante che ci sono ancora in giro non mettono più i frutti..I mori (gelsi) si usavano per fare le sedie ma anche per i bachi da seta che a casa mia si facevano….”
G. S. di anni 81: “…prima si coltivavano reveglia, lenticchia, cicerchia, farchi ecc. I farchi si davano allle pecore che avevano gli agnelli. I farchi facevano i fiori bianchi, i semi assomigliavano alla lenticchia ma erano rotondi come la reveglia. La reveglia si faceva a minestra come i piselli…prima le varietà di fagioli che si mettevano erano:le uova delle quaglie, la regina bassa (varietà che assomiglia ai borlotti bassi)…”
S. C. di anni 93: “…Si metteva il grano, i mochi per le bestie, i fagioli, le patate. I mochi per gli agnelli, si mettevano a bagno con la farina di granturco, quello che veniva a galla veniva dato agli agnelli. Qualche volta abbiamo piantato anche la lenticchia…”
P. P. di anni 82: “…Si seminava: grano, patate, l’orzo marzarolo, del “frassinese” c’era anche quello rosso…Prima le mele non c’erano quasi per niente, c’erano tutte piante bastarde tipo le “visciole” o le ciliege bastarde…”
A. A. di anni 92: “…Si piantavano i “mochi” si davano ai palombi, ai piccioni ma noi non li mangiavamo, è una pianta molto pesante per essere digerita. Dopo il moco è venuta la fava. C’era la “roveglia”, che si metteva sulla terra scarta, cioè la terra meno buona, era fatta tipo pisello. Piantavamo, 7-8 tipi differenti di fagioli, c’erano i fagioli della regina che avevano l’occhietto bianco, piccoli e rotondi; poi c’erano anche quelli ad uovo di quaglia erano color nocciola. Piantavamo il farro per fare la farina per la polenta…di uva avevamo “la pecorina”…di varietà di mele avevamo le mele cotogne, le mele di San Pietro…”
M. G. di anni 63: “…Si metteva la “roveglia”, la cicerchia, i “ceci pizzuti”. I fagioli dall’occhio, quelli all’uovo di quaglia, mamma né metteva di rossi e neri ma non so come si chiamano. Le patate c’erano pure quelle nere fuori e bianche dentro…Di uva si metteva quella pecorina…”
Per il Comune di Montemonaco, M. B. di anni 66 racconta: “…Ai Campi di Santa Maria ci “piantavano”..Se ci vai adesso trovi tutte macerie ma li’ vicino ci sono i campi nostri…Ogni anno si ripuliva il campo dai sassi e ci si seminava…Ci si mettevano grano, patate…Si metteva il frassineto…A Foce si faceva anche l’uva, nella zona di fronte alla Madonnetta dove c’erano dei campi da sole…”
I. E. di anni 75: “…I Campi di Santa Maria stanno sopra Foce dove c’è quella strada che sale a destra..Prima quelli di Foce li seminavano…Ci mettevano l’orzo, il moco, anche il grano…Di verietà qui da noi se ne metteva una che si chiamava marzuolo…Il frassineto e un’altro tipo con la “rischia” che si chiamava l’ariete…Ce n’era un tipo che veniva più rosso e un tipo che veniva bianco…Era alto…Quando sono uscite le mietitrebbie era troppo alto, era fastidioso e non è stato seminato più…Dopo si metteva il frassineto..La roveglia non si metteva, né i farchi, i ceci, il farro..Mettevamo solo il moco..La segale si metteva..si faceva il pane di segale ma io non me lo ricordo…Il marzuolo si chiamava così perchè si poteva seminare fino a marzo…La canapa non si metteva…”
C. A. di anni 86: “…Piantavamo le patate, il grano, l’orzetta, il marzolo, la lenticchia…”
Per il Comune di Roccafluvione, A. B. di anni 73 racconta: “…Qui si coltivava grano, avena, orzola, segala… Fagioli borlotti alti e bassi, ceci. Più che altro però cose per famiglia. Mettevamo anche la canapa a casa mia. Poi si metteva a curare in una buca grande dove si poteva mandare l’acqua, lu vurghe gli dicevamo. Poi si tirava fuori e durante l’invernata si trinciava con la cioccula….”
P. G. di anni 80: “…Si seminavano l’avena, la “secina” (segale) che è come il grano e si usava per le bestie poi con la paglia si coprivano le baracche. Si faceva la canapa….Nei “vurghi” si portava a macerare: il vorgo era una buca dove si ammassavano i fasci di canapa che venivano coperti con delle grosse pietre e poi si riempivano d’acqua. Dopo 8-10 giorni, quando era pronta si tirava fuori e veniva fatta asciugare. Poi doveva essere “acciaccata” con la “macingola” e ripassata con la “cioccola” per essere pulita bene dalla “rischia”. Dopodichè arrivava il canapino che la pettinava con i pettini e otteneva due qualità di fibra: lu “nuocchie” e lu “tuoppe”. Questa veniva poi filata e tessuta dalle donne…In questa zona la principale coltivazione era la vite: c’era chi raccoglieva anche trecento quintali d’uva. C’erano le capanne fatte con gli alberi di “oppio” sui quali si arrampicava la vite. Per potarle tutte ci volevano più di due mesi…Alcune varietà di mele e di frutti anticamente si trovavano ma ora non si trovano più. Ad esempio la mela rosa, la mela rozza, la “scoccia biancata”, le ciliegie maiatiche, castagne, “mori” (gelsi)…”
A. E. di anni 69: “…Le varietà di uva che si mettevano erano l’americana (uva fragola), il vaccaro, la passerina…L’uva americana si lasciava per ultima…Poi quando il vino cominciava a fermentare nella botte ci si buttava dentro una ventina di litri di quest’uva però cruda che gli dava sapore e colore e lo faceva ribollire prima…Il vino cotto altrimenti fermenta ad agosto..Ma se tu ci metti il mosto crudo ribolle prima, fermenta subito…”
C. G. di anni 79: “…Qui prima era tutto coltivato..Si mettevano grano, orzo, orzola, granturco, patate, fagioli di una varietà marrone che chiamavano fagioli “a pozza”, il farro che si macinava con delle piccole macine…Mi ricordo che si metteva anche la canapa che poi si portava a “lu vurghe” che stava dentro al Fosso di Rigo…Li’ si portava a curare questa canapa..Però solo alcuni la mettevano la canapa per un uso familiare…Poi le donne, dopo che l’avevi schiacciata, la filavano con la conocchia e ci facevano il panno..Filavano “lu nocchie” che era poco e soprattutto “lu tuoppe”…Di frutti ce n’erano di tutte le qualità: pesche, mele..La mela era quella rosa…La vigna si coltivava, tutti avevano un pezzetto di vigna e qualcuno ce l’ha ancora…C’era una varietà di uva nera che non era montepulciano…”
S. G. di anni 70: “…La canapa a Meschia si coltivava per fare il filato…Non grosse quantità…A “curare” si portava in campagna, in un fosso dove era stata scavata una vasca nella terra, “lu vurghe”…Poi durante l’inverno, quando era tempo buono, con la “cioccola” si schiacciava…Anch’io l’ho fatto ma ero ancora un bambino e non ce la facevo a romperla con la cioccola..Però di “cannavucci”, cioè le stoppie della canapa ne ho raccolti parecchi perchè con quelli si facevano dei fascetti con cui si accendeva il fuoco oppure, quando si faceva il maiale, ci si bruciavano i peli…Di frutti c’era un po’ di tutto. C’era anche l’uva ma non ricordo quali varietà..Poi c’erano mele, pere, pesche, albicocche…Di mele c’erano la mela rosa, la mela rozza..Poi c’era una mela che la chiamavamo “muso di bove” che era un po’ allungata; poi c’era una mela che non era tanto grossa ma era talmente buona e farinosa che ti faceva “leccare l’unghia” e quella non era nemmeno innestata, era nata e cresciuta li’ e a Meschia ce n’era una pianta sola…Poi si è seccata e non c’è stata più…”
M. M. di anni 78: “…i fagioli, le patate, il grano, i mochi, la cicerchia, la roveglia…frutti antichi: le pere cannelline, la mela cotogna, uva spina, le misciglie, erano piccole ciliegie aspre…”
Per il Comune di Rotella, F. R. di anni 71 racconta: “…Si coltivava anice, orzo bianco che si dava ai bambini, “ciervi” per gli animali che sarebbe come un cece piccolo che si dava agli animali, si mettevano la roveglia e la veccia che si seminavano sulle scarpate per non sprecare la terra…I lupini, il farro, la cicerchia, l’avena, la canapa. Lu “vurghe” (maceratoio) stava lungo il Torbibello nelle vicinanze del mulino tra Verdiente e Montemisio dove abitavamo noi. Questa doveva stare otto giorni a mollo poi si metteva ad asciugare. Poi veniva battuta e veniva il canapino con i pettini e faceva i “toppi” e i “nocchi”. Poi si filava e si tesseva. Si tessevano le lenzuola, le camice per gli uomini, i pantaloni con canapa e cotone che si comprava…Le camice erano tessute col cotone…”
G. D. di anni 79: “…piantavamo ceci, fagioli dell’occhio, il farro che si cucinava come la polenta, l’orzola, i piselli e la fava…varietà di mele:mela rosa , mela dura, la mela pianella. La pera cannellina, strozzadonne, more e bacche del moro…”
A. E. di anni 94: “…Si coltivavano soprattutto granturco e fagioli..I più buoni di tutti erano quelli che chiamavano “dall’acqua” che è una specie di borlotto…Si chiamavano anche “uovo di quaglia”…Ce n’era un altro che chiamavano “fagiolo da terra” che si metteva in mezzo alla fava o al granturco..Era lunghetto e aveva a volte una punta nera a volte bianchetta…Poi c’erano quelli tutti bianchi che chiamavano “cannellina”….C’erano anche dei fagioli lunghi che si condivano ma non ricordo come si chiamavano..Il chicco dentro era piccolo piccolo e nero…”
D. C. S. di anni 86: “…Si coltivavano i fagioli, le patate, i ceci, i pomodori. Un anno piantammo anche la fagiolina, quella bianca, e ne raccogliemmo una balla piena… Abbiamo piantato anche il caffè, ma non era come il caffè proprio e nemmeno orzo. Poi lo mischiavamo con il caffè buono. Erano come un fagiolo, poi lo arrostivi e lo misciavi a quell’altro. Abbiamo piantato anche l’anice. Si metteva anche il farro… Noi non lo piantavamo, ma ce lo regalavano. Si macinava grosso e ci facevamo la polenta. La canapa per filare la prendevamo in Ascoli, prima di Chiaro…”
Per il Comune di Venarotta, V. V. di anni 81 racconta: “…Per piantare gli ulivi prima non c’erano gli scavatori ma si doveva scavare a mano con la “pala” e il “pico”. Io ho piantato 140 piante da solo. Una volta piantato l’ulivo deve essere “custodito”, “zappato”, potata e gli si deve dare il “grasso” (letame) ogni anno. Ogni anno la pianta deve essere potata altrimenti si “chiude” e diventa un bosco. La varietà di ulivo che si trova adesso è quasi tutto “leccino” che produce un olio più leggero. Prima c’erano altre varietà: c’era il “frantoio”, c’era la “carvogna” e c’era una varietà che faceva un’oliva verde e tenera da “cura” (salamoia). Il “frantoio” e la “carvogna” producono un olio più “pesante” e “piccante”. Se la stagione non è buona l’oliva viene “verminosa”, si ammala della “mosca” contro cui non c’è rimedio. Gli si può dare un po’ di “acqua ramata” ma non gli giova. L’oliva deve essere spremuta appena colta altrimenti si scalda e può ammuffire…Tra gli ulivi si può seminare la fava e altre cose…Tra gli alberi da frutto che prima si trovavano e ora non più c’erano le mele rosa e le pere cannelline. C’erano poi gli oppi dove si avvolgeva la vite per formare la capanna dell’uva. Da alcune viti vecchie a volte si raccoglieva un quintale d’uva. Tra le varietà di uva c’erano il “vaccaro”, che era da pasto, e la “nostrana”, montepulciano, sangiovese…”
F. L. di anni 88: “…Tra la cose che prima si coltivavano e ora non si coltivano più c’erano la cicerchia, il farro che chiamavamo “granturco bianco”, la “melica” per fare le scope, la canapa. La canapa si seminava e poi si doveva mettere un telo bianco per non fare avvicinare gli animali. La pianta di canapa veniva alta alta e poi quando era arrivata si prendeva e si sradicava, si facevano i fasci che si mettevano a bagno nei vurghi. Ce ne era uno vicino casa nostra a Montemoro. Dopo 40 (?) giorni si tirava fuori e si batteva con la macigna e poi con un attrezzo più piccolo per pulirla. Si pettinava poi con i pettini, prima uno grosso poi più piccolo. Si ottenevano tre varietà: una più grossa (lu tuoppe) una media e una più fine (lu nuocchie). Con questo si facevano le lenzuola, con gli altri le corde, gli stracci e altro. si è coltivata fino a dopo la guerra…Qui era una zona di tabacco: faceva delle foglie grandi che poi si appendevano dentro casa con dei chiodi e si facevano asciugare. Poi passavano a ritirarle…Si seminavano la “selleca”, il favino, la veccia, la roveglia per le bestie…I fagioli prima si mettevano in mezzo ai granturchi…”
D. V. F. di anni 84: “…La canapa si seminava poi quando era ora si carpiva a mano, si facevano i fasci e si mettevano ad asciugare in modo che, quando si asciugavano, cadevano le foglie e i semi. Quando era pronta e secca si tagliavano le radici su un ceppo di legno e si portavano i fasci ad ammollare nel “vurgo” dove rimanevano per otto giorni circa. Dopodichè si facevano asciugare e si portavano a casa. Qui venivano schiacciati con la “macingola” e puliti con la “cioccola”. (Il “favello” era un attrezzo formato da due bastoni uniti da una corda che serviva per batter il grano, i fagioli, la fava e altro). Quando era stata ben pulita dal legno ed era rimasta solo la fibra, la canapa si metteva ad asciugare con una corda. Dopodichè veniva il canapino con i pettini per pettinarla. I pettini erano due: uno più grande, il pettine, e la “pettinella” per raffinarla. Si ottenevano tre diverse qualità: il “nocchio”, la più pregiata e fine; il “tuoppe” quella più grossolana; la “rascelenia” che era una via di mezzo. Poi si usavano la “conocchia” e il “fuso” per filare; il “naspo” per fare le “fezze”. Le fezze (mannelle) si devono poi cuocere con la cenere per essere sbiancate. si mettevano in un caldaio uno strato di cenere e uno di fezze e si versava acqua bollente. Infine si passava alla tessitura…”
M. L. di anni 89: “…Una volta si seminava il grano “frassinese” che poi non è stato messo più: era un grano che rimaneva sempre verde fino in ultimo e in un attimo diventava giallo. Era un grano che veniva altissimo e faceva troppa paglia. Altre varietà di grano erano il cosiddetto “valerio” e la “quaterna”. Anche la canapa si metteva tanto e poi non si è messa più. Noi la consegnavamo all’ammasso. Anche qui a Venarotta si seminava canapa e anche tabacco. Infine si facevano i bachi. A casa di mio nonno si facevano e tanto si facevano da Pomponi…Si seminava anche il farro che poi veniva macinato con delle piccole macine apposite…Mio nonno metteva anche l’orzo per fare il caffè, che è una varietà di orzo bianco da caffè…Col farro si faceva una specie di polenta…Si metteva poi la cicerchia che è simila al lupino…”
G. G. di anni 63: “…Prima c’erano diverse varietà di uva: il “vaccaro”, lo zibibbo, la marchigiana, il “mondonico”, il “prievolo”, l’uva fragola…Anticamente qui c’erano molte piante di ciliegie di diverse varietà: “palombine”,”maiatiche” e “uvarole”…”

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