RICETTARIO TRADIZIONALE

IL PANE

Normalmente si faceva una volta la settimana.

Per fare il lievito naturale si prendeva un pezzo della massa precedente, si metteva sopra un piatto facendoci una Croce sopra e si copriva con un panno.

La sera si mescolava il lievito con farina e acqua tiepida, si facevano tre segni di croce e poi si metteva la massa a riposare nella madia, d’inverno vi si metteva vicino una “monaca” con la brace per conservarlo al caldo.

Il mattino si impastava, aggiungendo farina e acqua tiepida, poi si ammassava con le nocche delle dite per amalgamare l’impasto. Subito dopo si spianava e si facevano le file, belle lisce. Le file si mettevano sopra una tavola e venivano coperte con una tovaglia.

Mentre si attendeva la lievitazione delle file si accendeva il forno dopo un’ora s’infornava. Il forno per essere pronto doveva diventare bianco.

LA POLENTA

Cibo fondamentale della nostra alimentazione

Si mangiava spesso anche tre volte al giorno

La polenta si faceva nel caldaio appeso alla catena del camino. Quando l’acqua bolliva con la mano sinistra si buttava pian piano la farina di granturco e con la destra si manovrava un mestolo lungo. Doveva bollire per più di mezz’ora. Diversi erano i modi per mangiarla :

– Sulla spianatora (tavola di legno) veniva condita rossa o in bianco.

– A cucchjarettu : si poneva su un piatto fondo, si condiva ad ogni strato poi ognuno prendeva la propria parte

-La marinata : con fagioli ceci o fave

-alla carbonara: condita con sugo fatto con strutto, guanciale, aglio, pepe e molto pecorino

– Pulendo’: fare la polenta abbastanza dura. Dopo cotta versare il polentone sopra un panno leggermente bagnato, lasciarlo freddare, poi con il filo, legato al mignolo, fare tante fettine. Queste verranno messe in un tegame e condite a strati con il sugo fatto con grasso di maiale salsicce e pecorino. Tenere al fuoco più di dieci minuti.

-Con la sapa: si immergevano le fettine di polenta non condita nella sapa (colazione)

– Pulendò a buttà gghjò : (categorie di persone che non avevano molto tempo): versavano sul paiolo l’acqua e subito dopo la farina di granturco. Al centro facevano un buco dal quale veniva su il liquido, che poi, bollendo , cuoceva la farina. Quando il polentone era cotto, versavano nel buco il condimento.

LA VRUSCATA (LU PANITTU)

Era una pizza fatta con acqua e farina di granturco cotta sotto la brace. Per proteggerla dalla cenere si avvolgeva in foglie di cavoli. Si mangiava normalmente, croccante ungendola in una padella dove c’era dello strutto e aggiungendo un po’ di sale.

LA PASTA FATTA IN CASA

Si versa sulla spianatora (tavola di legno) la farina occorrente (un etto a persona) Al centro si apre un buco dove si mettono le uova (uno ogni cento grammi di pasta), si aggiunge un pizzico di sale, si mescola e si comincia a impastare. Quando l’impasto è pronto si raccoglie la palla e si avvolge in un tovagliolo. Quindi “si tira la sfoglia” e con il mattarello si allarga appena pronta si taglia per preparare i diversi tipi di pasta.

I FRASCARELLI

Veniva fatta come la polenta ma si utilizzava la farina di grano cercando di far fare i grumi facendola bollire per una ventina di minuti e quindi si insaporisce con olio cipolla prosciutto, salsiccia o pancetta qualcuno mette anche il pomodoro.

GLI GNOCCHI

Lessare in acqua salata 1 Kg di patate, pelarle e schiacciarle, poi sulla spianatora (tavola di legno) unire un uovo intero e  250 grammi di farina. Lavorare il composto fino a farlo liscio, quindi formare dei bastoncini da tagliare a pezzi di 2 cm. Aspettare che bolle l’acqua poi versarli nella pentola appena saliranno a galla estrarli con il mestolo forato, si condiscono e si mettono nel piatto.

I PICCICASANDI O STROZZAPRETI

Si mette a bollire l’acqua in una pentola ed appena questa bolle si versa la farina di grano. Nel frattempo sulla spianatora (tavola di legno), si bagna con un pochino d’acqua altra farina, in modo che si formino delle dei grumi che poi si metteranno nell’acqua che bolle. Si mescola, si sala, e dopo mezzora, o appena raggiunta la giusta consistenza, si versa e si condisce con sugo di pomodoro e carne, o con soffritto di cipolla, lardo, o pancetta o salciccia, si aggiunge il formaggio e si mangia con il cucchiaio.

IL CIBO E LA FESTA

PIZZE DI PASQUA 

Le pizze dolci, si facevano con le uova, lo zucchero, farina, lievito naturale, limone grattugiato. Ci vogliono due giorni per farle, dopo cotte si pennellano con la glassa di albume montato a neve con zucchero e succo di limone.

Le pizze con il formaggio, si mangiavano per la colazione dopo che erano state sciolte le campane, mentre i bambini facevano le capriole sui prati e la mattina di Pasqua, con le uova sode, salame e vino buono.

La ciambella “ngotta” veniva fatta scottandola nell’acqua bollente  si metteva ad asciugare sopra una tovaglia, per poi cuocerla nel forno o fritta.

IL LATTACCIOLO

Il giorno di san Biagio (3 febbraio) a Piobbico di Sarnano ancora oggi vive l’antica costumanza di offrire a parenti,conoscenti e amici un dolce del luogo chiamato con voce dialettale “lu lattacciòlu”. Ne diamo la ricetta: 20 uova – gr. 500 di miele – 1 litro di latte – 2 cucchiai di zucchero. Modo di prepararlo: mescolare il tutto in una pentola di terracotta, vicino al fuoco, con un cucchiaio di legno, avendo cura di girare lentamente sempre dalla stessa parte, fino a che l’impasto sia ben amalgamato ed abbia la consistenza della polenta “lenta”. Quando è ben sciolto e ben caldo si versa in una teglia di rame stagnato,che sarà stata preventivamente ben pulita, ben asciugata e unta di miele. Allontanare il fuoco da una zona del focolare e, sui mattoni nudi e bollenti (si raccomanda di non mettere fuoco sotto) porre la teglia che verrà coperta da un coperchio (possibilmente anche esso di rame) e con poco di fuoco sopra. Il grado di cottura si prova con un ferro da calza. Quando si giudica cotto si versa su una tovaglia facendo ben attenzione che l’impasto (molto delicato) non si spezzi. Si serve freddo.(1)

(1) p.39 Dolci tradizionali delle Marche,  Ginobili Giovanni, Folklore Marchigiano Costumanze-Blasoni popolari-Proverbi e detti-Pregiudizi e superstizioni-Leggende, Macerata 1963;

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