I CAMMINI DOVE LA RIFLESSIONE ANTROPOLOGICA
SI CONGIUNGE CON QUELLA PAESAGGISTICA
NARRAZIONI RACCOLTE A VALFORNACE
(02:00) La fornace ce l’aveva mio padre, era di famiglia. Ha funzionato fino al settembre del 1944. Era qui sotto, un tre quattrocento metri dalla curva. L’argilla per fare i mattoni si prendeva sopra alla fornace, era tutta terra buona. D’inverno si puliva dalle erbacce e poi si scavava la terra, ma tutto a mano. Si faceva d’inverno questo lavoro perchè con il gelo si sfaldava meglio la terra. Si facevano dei mucchi. Poi, d’estate, si spandeva e si faceva asciugare. Con le mazzette di legno si spezzava bene e veniva fina. Alla sera, quando si smetteva a fare i mattoni, sul calar del sole, si metteva questa terra in un pantano fatto a posta , il “mardaio” e si riempiva con una trentina di carrette di terra e l’acqua. Alla mattina s’era impastato, si andava giu con la pala e si cacciava. Allora si metteva su due rulli orizontali di una metrata, il Ruotone, che la affinava e toglieva le impurità, scogli, sassi. Poi si prendeva con le mani, perchè nel frattempo s’era indurita, e si buttava su un telone, delle coperte bagnate. Bisognava girarla altre due o tre volte. Quando era matura si prendevano questi pezzi da venti chili e si portava sul banco per fare i mattoni. … Qui si facevano le forme dei mattoni e si usava anche un po di sabbia per isabbiare la forma del mattone per far staccare il mattone. Ma si usava una sabbia fina, passata col corbello. si bagnava la forma e si insabbiava, mettevi la creta dentro alla forma, si lisciava bene sopra e si stampava il mattone. Poi c’erano diverse forme, i mattoni, le mattonelle, i coppi… Ogni persona ne faceva fino a 6-700 al giorno. queste forme poi si mettevano ad asciugare al sole in file da 15, 20… Quando erano asciutti, non secchi , ma che li potevi maneggiare, si pulivano le sbavature che facevano sotto con un coltello, la “rasoia”. Due giorni prima di cuocere si andava a fare la legna, perchè ce ne volevano tanti quintali. Prima di portarli in fornace questi mattoni si alzavano in piedi per farli asciugare meglio. Poi si portavano in fornace e si facevano dei muretti, “le griglie” le chiamavano, che erano delle file di mattoni con uno spazio in mezzo per far passare l’aria. Si facevano asciugare per un’altra mesata fino a quando non erano bianchi. Allora erano ben secchi e si potevano cuocere. Il forno era profondo una ventina di metri. Si iniziava a mettere prima i “tozzotti”, dei mattonacci erti, poi attorno e per coltello si iniziava a fare le file di mattoni… si proseguiva a salire con i materiali sempre più leggeri, quindi venivano i coppi e si chiudeva con le mattonelle “planche”. Poi in cima si faceva la “cocciata” con pezzi sempre piu piccoli di mattonelle rotte. Il fonno si mandava avanti per 4-5 giorni, ardeva sempre la legna, all’inizio con la legna per asciugarli bene e poi le fascine per cuocere bene. Dove si infornava gli si diceva il “catino”. Ci volevano almeno 7 – 8 operai e si iniziava a preparare il forno il giorno primo. Altrettante persone ci volevano per cacciare i mattoni. Poi la cotta si doveva freddare e ci volevano sette o otto giorni. Facevamo tre cotte all’anno da principio, poi due poi, infine una sola. Oltre alla fornace però avevamo anche la campagna e allora si lavorava in fornace solo quando il tempo era buono. Ogni infornata produceva sui 4-5000 pezzi, tra mattoni, coppi e mattonelle. Adesso non c’è rimasto più niente. Un’altra fornace stava all’Isola di Lucarelli. Una a Castello ed era dei Marchetti. Una stava a S. Maroto di proprietà paparelli. Due stavano a Val dei Lati, una era di Beccarini e un’altra di Luca. Una poi stava a Sentino ed era di Pallotta Vincenzo, in comune di Camerino. In tutto sette fornaci. (01:05:00)
03.13 ci sono nove fornaci di mattoni intorno a Monte San Savino e un’altra fornace si trova sotto San Maroto vicino ad una chiesa in località San Giovanni vicino c’é il pantano dell’acqua 09.07.
(22:50) La fornace stava a “Paparelli” a Villarella. Faceva mattoni e coppi. Un’altra stava a S. Giovanni di Fiastra. (23:40)
LE ANTICHE FORNACI
Le fornaci di Monte San Savino (almeno otto) smisero l’attività ai primi del ‘900. Le ultime sono quella di Colle Fiano la fornace Pallotta, la quale smise l’attività nel settembre del 1944; a Valle dei Lati la fornace di Domenico Conti terminò l’attività Nel 1950.
Fasi di realizzazione
L’impasto
La terra adatta era l’argilla dei fornaciai veniva chiamata creta. Essa veniva estratta in autunno, ammassata in un grande covo, poi, passato l’inverno in cui la creta era stata sottoposta a lunghe gelate, veniva spasa al sole per farla sgretolare. L’argilla doveva essere il più possibile sottile e per questo venivano usati molti mezzi per sgretolarla (la zappa, la pala, i corvelli) ed infine venivano fatta passare in mezzo a due cilindri lisci per togliere i granuli rimasti. Divenuta sottile veniva messa in una grande vasca (lunga 10-15 metri) e, bagnata con acqua, veniva calpestata a piedi nudi e girata con le pale. Tolta l’acqua in eccesso, in modo da rendere l’impasto malleabile ma solido, quest’ultimo detto “mardaru” veniva sbattuto per tre volte in tre pagliai per amalgamarlo. Poi veniva suddiviso e preparato diversamente in base al lavoro che si doveva realizzare: se si trattava di coppi la lavorazione era più accurata perché l’impasto doveva essere più sottile, mentre se si trattava di mattoni o mattonacci l’impasto poteva essere più grezzo. A Valle dei Lati i fornaciai, nel periodo delle piogge realizzavano grandi pantani in modo da raccogliere acqua piovana. Con il passare del tempo il terreno diventava impermeabile e tratteneva l’acqua che in estate sarebbe servita per la preparazione dell’impasto delle fornaci.